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Scendeva dalla bottiglia il vino nel calice, scorreva veloce per accomodarsi allegramente in quel concavo letto di vetro.
Il leggero vento accompagnava quel freddo ruscello di nettare d’uva.
Alzai gli occhi per godermi il sole ancora caldo che scivolava verso ponente.
Tra le rocce il verde poco distante dal mio tavolo in ferro battuto.
Non aspettavo nessuno.
Avrei voluto cenare lentamente, gustarmi le stelle e poi riposare.
Scrivo qualcosa prima di cena.
Vibra il mio telefono.
Watsapp, messaggio.
Un link, biglietto aereo per Roma ed albergo prenotato per Cortona.
Torno a casa, perché?
Parto, è normale per me senza preavviso, ho sempre una borsa pronta.
Passeggio nei vicoli di Cortona verso il museo, il teatro, giro il vicolo e raggiungo la sala conferenze.
Un emiciclo moderno in un palazzo antico; anni prima già ero stato qua.
Mi siedo.
La conferenza era già iniziata.
Uditori da mondi diversi, non mi chiedete il tema.
Non sapevo chi mi avesse invitato, ma sepevo che avrei dovuto accettare.
Non sapevo il perché, però Cortona mi ha sempre attirato.
Capii il tema che non avevo letto con attenzione sull’invito e sulle locandine.
Troppa la voglia di quel viaggio.
I relatori, due uomini e due donne.
Non li riconoscevo per fisionomia, poi i cavalieri non c’erano.
In ritardo per la presentazione.
Mi annoia quello che in quel momento parlava, non lo seguo.
Mi distrae il gioco di labbra e denti della relatrice alla sua sinistra.
Rossetto accesso, occhiali aggressivi.
Il mordersi le labbra non era una provocante mimica erotica, ma con il sorriso avvertii che era fastidio per l’ascolto di quella relazione.
Guardava gelida nel vuoto.
Una sfinge dalle labbra tormentate.
Vidi che mosse la mano per ticchettare sul suo cellulare. Unghia lunghe dal rosso francese, come un Bordeaux imperiale.
Mi girai per guardare gli altri relatori e vibro’ il mio cellulare.
Watsapp.
Lo stesso numero non registrato in rubrica che mi aveva inviato i biglietti.
“Sapevo che saresti venuto ad ascoltarmi, non mi riconosci ancora, sei sempre il solito”.
La guardo, occhio al viso, scendo sulla scollatura, sul bavero, eccola la spilla, traccia di un ricordo antico.
Che diavolo di donna.
Tocca a lei.
Ascolto, ascolto le sue frasi.
L’avevo incontrata vent’anni prima l’ultima volta.
Come faccio a non sorridere?
Il secondo tempo inizia.
Scrittore Sumero